Arezzo – Giorgio Vasari e la sua giovanissima moglie -

b&b Francesco Redi riporta integralmente l’articolo tratto da La Nazione di Giovedì 5 Maggio 2011 – su Giorgio Vasari e sui veleni del suo contemporaneo Annibale Caracci -

“Avviene spesso che uomini attempati siano attratti da donne giovani, talvolta giovanissime addirittura (ohimè) minorenni. Sull’argomento v’è tutta la letteratura anche recente, che insegna, come le loro storie comportino sempre complicazioni e problemi. Nel 1450 Giorgio Vasari, vicino ai quaranta, è ormai, per quei tempi, un uomo attempato mentre la minorenne, Nicolosa De’ Bacci, è una ragazzotta di appena quattordici anni anche se, pare, molto ben portati. Come molte di queste effimere creature, anche lei si è data un soprannome, “Cosina”, vezzosa sineddoche intesa forse a stimolare suggestioni e turbamenti nell’animo del non più giovane Giorgio. Oddio,…. turbamenti. La ragazza appartiene ad una ricca famiglia aretina ed il turbamento che Giorgio prova è sopratutto per la cospicua dote che si porta appresso, per cui il matrimonio viene rapidamente celebrato e, pensiamo, consumato. Gran lavoratore – di quelli da tredici ore al giorno – ha poco tempo da dedicare agli affetti e ben presto, quando l’amico cardinale Del Monte è fatto Papa col nome di Giulio III, va a Roma a lavorare per lui mollando tutto e lasciando incustoditi casa e moglie. Negli anni che seguono Giorgio lavora a Roma e sopratutto a Firenze ove, uomo di fiducia di Cosimo I, svolge incarichi di grande responsabilità avendo modo, così, di farsi odiare da molti. Quanto a Nicolosa, rimane ad Arezzo, in quella grande casa pensata per un’intera famiglia e che lei abiterà quasi sempre da sola. Verso la metà degli anni sessanta, in una breve apparizione ad Arezzo, Giorgio porta a termine i lavori sull’altare di famiglia che si trova nella Pieve e che nel 1870 sarà trasferito alla Badia. Sul Suo lato sinistro è ritratta la coppia di sposi finalmente riunita dal pennello di Giorgio: lui nelle vesti di Lazzaro, lei in quelle della Maddalena, e qui un visitatore appena un pò curioso non potrà non porsi alcune domande. Anzitutto: perchè Lazzaro? In quale abisso di Morte è sprofondato e quindi risorto quel Lazzaro-Giorgio? E perchè mai la Nicolosa è ritratta nei panni di un’adultera, sia pure pentita e  perdonata, atteso che a quei tempi la Maddalena è impropriamente identificata con l’adultera salvata dalla lapidazione e perdonata dal Cristo? Quel San Giorgio, poi, sul retro dell’altare, dipinto dallo Stradano ma voluto da Vasari, quel San Giorgio che uccide il drago, simbolo del male e del peccato, e salva la giovane principessa, che ci sta a fare proprio lì? Non sarà che quelle immagini narrino un episodio penoso superato della vita matrimoniale di Giorgio? Troppo forte, per il visitatore un pò curioso, la tentazione di inseguire ipotesi azzardate, di costruire trame torbide e pruriginose. Eccolo allora vestire i panni dell’inquirente e trasferirsi in biblioteca a compulsare libri, carteggi, memorie in cerca di un dettaglio, una dichiarazione, una testimonianza che possa trasformare gli indizi in prova. Eccolo infine sfogliare furtivamente le pagine di un documento singolare e riservatissimo. Si tratta di un libello contente la trascrizione delle note che Agostino Caracci, intellettuale della famiglia dei Caracci pittori e incisori, scrisse a margine di una copia delle “Vite” del Vasari.  La riservatezza del documento è connessa alla natura di tali annotazioni che, non essendo destinate alla pubblicazione, dovrebbero rimanere coperte da segreto e non essere divulgate. Una sorta insomma di intercettazioni. Il nostro visitatore, figlio del suo tempo, è poco incline alle sottigliezze procedurali e si tuffa avidamente nella lettura. Quanto al Caracci. certo di non essere visto né sentito, si esprime in maniera esplicita, libera da remore e da censure come chi parla con se stesso. Egli, in sostanza, accusa il Vasari di partigianeria avendo questi esaltato oltre misura gli artisti toscani e trattato tutti gli altri, sopratutto i veneti, come minori. Dalle accuse alle offese il passo è breve e il Caracci di offese al Vasari ne infila una serie smisurata: ciarlone, sfacciato, presuntuoso, bestia maligna, ignorante, invidioso, bugiardo; solo le meno scurrili. Le accuse e le offese del Caracci sono spesso motivate e meritate ma, tutto sommato, interessano poco al nostro visitatore.  Lui non è un critico nè uno storico dell’arte, è soltanto un visitatore curioso, magari un po’ pettegolo. Lui cerca altro e, finalmente, lo trova. Quando il Vasari inizia a narrare la propria vita, immediatamente il Caracci lo fredda così: “Giorgio Vasari, che fu becco,  scrive la vita di se stesso più sfacciatamente e presuntuosamente che mai altro scrittore e mente per la gola….” Insomma, Giogio è cornuto e bugiardo. Il primo dei due predicati renderà felice il visitatore curioso e pettegolo, certo di aver trovato la prova di quanto già aveva intuito. E sarà inutile fargli notare che l’affermazione del Caracci non è una testimonianza bensì un’offesa fatta da un testimone astioso e come tale poco attendibile. E tuttavia, anche se un’ipotetica giuria dichiarasse non provata l’ipotesi delle corna, il boccone avvelenato del Caracci avrebbe ottenuto il suo scopo: “Calunniate, calunniate, qualcosa resterà”, diceva Bacone, e qualcosa infatti resta. Nel nostro visitatore certo, ma anche un po’ in tutti noi”. (Sergio Castrucci) .

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